Uvalino: Un vitigno autoctono e un vino raro del Piemonte raccontato da una donna unica, Mariuccia Borio
Siamo in provincia di Asti, in prossimità del confine fra Langhe e Monferrato, ad est del fiume Tanaro, in una terra rigogliosa dove si alternano boschi a ordinati vigneti, secolarmente governata da imponenti castelli, divenuti oggi importate attrattiva per il territorio. Di grande bellezza e rilevanza annotiamo il castello medievale di Costigliole d’Asti, con le quattro torri alte 28 metri e ampie mura di 60 metri per lato è uno dei castelli più prestigiosi del Piemonte. Sul suo portale d’ingresso, impera lo stemma marmoreo dei Marchesi Asinari, un’importante famiglia nobile astigiana. Altro imponente maniero, appartenuto alla famiglia Asinari, è sito nella piccola frazione di Burio, a sud del borgo, ed è circondato da campi coltivati principalmente a vigneto.
In questi vigneti troviamo un vitigno autoctono e ormai raro: l’Uvalino.
Si tratta di uve a bacca rossa, di maturazione tardiva. L’uva è ricca di estratto e di colore, è resistente e quindi difficilmente aggredita da muffe.
L’Uvalino Uceline e Mariuccia Borio Cascina Castlèt.
Mi chiamo Mariuccia Borio. Vivo e lavoro a Costigliole d’Asti, in Piemonte, dove ho creato l’azienda Cascina Castlèt. Alcuni dei miei vigneti erano quelli del Marchese Filippo Asinari, viticoltore lungimirante, che per primo agli inizi dell’800 fece le sue importanti sperimentazioni vitivinicole. Ho ereditato l’azienda nel 1970. Oggi ho 31 ettari di vigna a Costigliole d’Asti. Abbiamo scommesso sulla terra, sulla nostra terra, sui vitigni del luogo: Barbera, Moscato, Uvalino, ma anche Cabernet Sauvignon e Chardonnay.”
Negli anni ’80, scoprirono che il produttore di Barolo Renato Ratti, proprio di fronte a Cascina Castlèt, a Villa Pattono, aveva impiantato una piccola vigna di Uvalino che ora non c’è più. Mariuccia incominciò quindi, a pensare a questa ricerca. Con il professor Lorenzo Corino, allora direttore dell’Istituto di Viticoltura di Asti, iniziarono le prime ricerche in vigna e a seguire, le prime micro-vinificazioni sperimentali.
Nel 1992 venne piantato il primo filare. Il progetto fu presentato nel giugno 2003 in occasione del VII International Symposium of Oenology di Arcachon, organizzato dall’Università di Bordeaux, mentre l’iter burocratico per rendere l’Uvalino un vitigno autorizzato è durato alcuni anni.
Il 16 luglio 2002 la Gazzetta ufficiale sentenzia la rinascita dell’Uvalino che venne inserito nella regione Piemonte come varietà riconosciuta e autorizzata.
La prima vendemmia “ufficiale” fu la 2006: il vino uscì nel 2009. Oggi, in azienda, vi è circa un ettaro e mezzo di uve Uvalino, coltivato in due vigneti, e se ne producono circa 5 mila bottiglie.
Il vino si chiama Uceline, e il nome non è scelto a caso: con esso agli inizi del Seicento, nella collina torinese e in Astesana, si designavano uve a maturazione talmente tardiva da essere vendemmiate quando le viti avevano perso tutte le foglie, al punto che gli uccelli se ne cibavano largamente.
Uvalino Uceline
L’Uvalino Uceline è un raro vitigno piemontese, che Mariuccia Borio ha riscoperto, finanziandone per molti anni la ricerca universitaria, iniziata 28 anni fa.
Un tempo, dopo un periodo di appassimento, l’Uvalino veniva utilizzato come migliorativo per altri vini oppure vinificato in purezza ed era il vino delle grandi occasioni: dei matrimoni, dei battesimi, oppure veniva regalato al medico, al farmacista, al parroco.
È un vino che deve essere apprezzato con qualche anno d’età. È ottimo come vino da conversazione. Si abbina bene con tutta la selvaggina e con formaggi di lunga stagionatura.
Mariuccia Borio dell’azienda Cascina Castlet.
“La mia storia di imprenditrice vitivinicola inizia nel 1970, quando alla morte di mio padre ho ereditato parte di Cascina Castlèt, circa 5 ettari, in totale erano 20 ettari che il nonno ha diviso tra i 4 figli maschi. Le donne erano escluse dall’eredità della terra, la terra la portavano solo in dote.
Per me, figlia unica, non c’era altra soluzione, ma a questo non ho pensato sono partita senza pregiudizi.
Da allora gli ettari sono cresciuti. Oggi sono 31 ettari di vigna a Costigliole d’Asti. Curo personalmente tutta la filiera, dalla vigna fino alla tavola ove il vino verrà consumato.
Ho scommesso sulla terra, sulla nostra terra, sui vitigni del luogo, vitigni che fin dall’ottocento sono presenti nel nostro territorio. Un tocco di estro sui nomi dei vini Ataj , Aviè, Goj, Litina, Passum, Policalpo, Uceline: tutti racchiudono un piccolo segreto, un racconto, una storia, che vi invitiamo a venire a conoscere.
Prima di ereditare Cascina Castlèt, ho lavorato nella bottiglieria di famiglia a Torino: in campagna a Costigliole si produceva vino e in città lo si vendeva. Ma è quando sono arrivata in azienda che ho capito che quello era il luogo giusto dove vivere e lavorare: ho creato qui il mio piccolo paradiso.
La riscoperta dell’Uvalino è stata una delle esperienze più importanti della mia vita. È stato un investimento non solo di denaro, ma anche di tempo, di fatica, di ricerca di personale specializzato; e soprattutto è un investimento in credibilità. Ho salvato un vitigno da scomparsa certa. Ora è riconosciuto ufficialmente come varietà autoctona italiana.
Sono molte le donne brave a cui mi sono ispirata. Una che ho amato tanto Marisa Belissario, manager cuneese: è stata una donna all’avanguardia, una dirigente d’azienda che ha fatto epoca. Ha cambiato il modo di vedere le cose, soprattutto nell’imprenditoria femminile. Da giovane mi sono ispirata a lei. Peccato che sia mancata troppo giovane!
Fare la vignaiola è anche una questione di etica e di cultura. Per noi etica e cultura significano rispetto dell’ambiente e di chi ci lavora. Anche questo è produrre vino nei vigneti riconosciuti Patrimonio dell’Umanità Unesco in Piemonte.”
Cascina Castlèt, – Costigliole d’Asti
Contributo raccolto a cura di Cinzia Tosetti, giornalista e Donna del Vino