Intervista alle giovani donne del vino: Marianna Velenosi

Intervista alle giovani donne del vino: Marianna Velenosi

Fabiana Romanutti, direttore responsabile ed editoriale della testata quantobasta.it, presta la sua penna a DNews, il mensile de Le Donne de Vino, allegato al Corriere Vinicolo per raccontare, in una nuova rubrica, le giovani Donne del Vino e condividere i pensieri, le problematiche, ascoltare i loro suggerimenti e conoscere il loro sguardo sul futuro del vino al femminile.
Il secondo appuntamento è con Marianna Velenosi, strategic marketing manager e digital transformation di Velenosi e Donna del Vino.

LE GIOVANI DONNE DEL VINO: MARIANNA VELENOSI
Di Fabiana Romanutti

Intraprendente, determinata, appassionata, Marianna Velenosi. Dopo una laurea in Bocconi e un’esperienza all’estero ha scelto la sua terra. Dal 2019 è strategic marketing manager di Velenosi Vini. Le sue armi vincenti: vicinanza ai consumatori e territorialità

Il vino, un colpo di fulmine o un lento innamoramento?

Nessuno dei due. Il vino è sempre stato presente per me, il fil rouge di tutte le mie scelte
fin da bambina. Crescendo e giocando da piccola nei vigneti, gli stessi in cui oggi passeggio con i clienti o da sola per cercare idee e spunti nuovi, il vino è sempre stato una certezza fin da piccola. Anche se all’inizio non volevo lavorare nella cantina di famiglia, ero convinta che la mia carriera fosse altrove, all’estero, ma sempre e comunque nel mondo del vino, senza ombra di dubbio. Non ho mai pensato di approcciarmi ad un altro settore, non ne ho visto il bisogno in quanto ero già sicura di amare il vino e tutto il suo contesto.

L’azienda vitivinicola Velenosi è nata da due giovanissimi imprenditori, i suoi genitori. Che cosa le hanno trasmesso?

Fin da piccola ho visto i miei genitori prendersi cura e trattare la Velenosi come il loro primogenito. Entrambi mi hanno insegnato il senso di curare l’azienda come un figlio e così per tutti i suoi vini. Sicuramente da mia madre ho appreso la tenacia, la passione, il senso di sacrificio e la pazienza sono i valori indispensabili per lavorare in questo settore e farlo bene.

Dopo la laurea in Bocconi si è trasferita per tre anni in Svizzera. Che cosa le ha lasciato questa esperienza?

Ho lavorato a Ginevra, in Svizzera, per 3 anni prima di entrare nell’azienda di famiglia in Italia. Ho lavorato per la società di distribuzione di un grande gruppo vinicolo francese, uno dei più grandi gruppi vinicoli del mondo. Ero una junior buyer di vini e supportavo il direttore della sede svizzera nelle sue attività di sviluppo e apertura di nuovi punti vendita in Svizzera. È stata un’esperienza straordinaria che mi ha aiutato a capire il settore del vino da un altro punto di vista, quello dell’acquirente e del distributore. Credo sia importante fare esperienze diverse prima di entrare nell’azienda di famiglia, per poter vedere altre realtà e le loro dinamiche, potersi confrontare con bisogni e necessità del mercato e anche nazionalità e culture diverse

Lavorare fianco a fianco con la famiglia non è sempre facile, qual è il segreto del vostro successo?

Lavorare con la famiglia non è sempre facile, ci sono pro e contro. Ci abbiamo messo quasi un anno a trovare un equilibrio soprattutto tra me e mia madre, anche dati i nostri caratteri abbastanza decisi e testardi. Ma dopo un iniziale periodo di assestamento abbiamo trovato il modo per completarci e lavorare in armonia, ognuna con le proprie attitudini e competenze. Ci ha aiutato molto avere in cantina delle persone che ci hanno supportato in questo passaggio, che ci hanno guidato e accompagnato in questo percorso. Sicuramente la chiave della nostra armonia oggi è la comunicazione. Ci raccontiamo le nostre giornate, come affrontiamo le situazioni che incontriamo e le nostre aspettative. Ogni giorno anche se lontani perché mio fratello in cantina e mia madre in giro per il mondo, ci confrontiamo.

Dal 2019 è strategic marketing manager di Velenosi Vini. Un piccolo bilancio di questi anni.

Sono sicuramente stati anni davvero complessi e difficili tra pandemia, guerra, inflazione e congiuntura economica anomala per molti mercati. Ma penso che questi anni mi abbiano permesso di affrontare situazioni talmente diverse e inaspettate che mi hanno insegnato più di 20 anni di un’esperienza lineare. Il marketing si plasma sui consumatori e come cambiano le condizioni politiche ed economiche, cambiano anche le abitudini di consumo e le preferenze dei consumatori. Da quando sono entrata in cantina, abbiamo puntato su una comunicazione sempre più volta alla scoperta del territorio, a parlare chiaramente con il consumatore e raccontare tutto ciò che c’è dietro una singola etichetta. Ad oggi questa vicinanza e territorialità, ci sta ripagando, creando sempre più interesse nei confronti del nostro brand.

Siete presenti con i vostri vini in 60 Paesi tra Europa e il resto del mondo, che altro Paese vorrebbe conquistare e perché.

Mia madre ha portato con successo i vini della nostra cantina in più di 60 Paesi negli ultimi 40 anni. Certo, le nostre aspettative non finiscono qui. Ci sono ancora molti Paesi che dobbiamo esplorare e conquistare. Ultimamente mi sto concentrando sui Caraibi, una parte del mondo che non avevamo ancora esplorato e che non è particolarmente educata ai vini italiani. Mi piacerebbe piano piano portare i vini del Piceno anche in
questi mercati. Ad oggi abbiamo già attivi Cuba, Porto Rico e Bermuda.

Ha ottenuto il riconoscimento dall’Osservatorio Digitale delle Marche per essere una delle attività del settore più digitalizzate del territorio. Quanto sono importanti i social oggi per comunicare il vino?

I social sono diventati indispensabili per comunicare il mondo del vino soprattutto ai nuovi consumatori di vino, i giovani. Generare curiosità, educarli su come scegliere un’etichetta piuttosto che un’altra, portarli ad interessarsi al vino è la nostra missione. Il premio della Regione Marche attesta che siamo sulla buona strada ed è una fotografia dello stato attuale della cantina sulla digitalizzazione. È stato un premio che ho particolarmente sentito in quanto dal mio rientro in cantina sono stati tanti i progetti per incrementare la digitalizzazione: dai social occidentali a quelli orientali con Wechat e Weibo, all’implementazione del sito e-commerce e all’inserimento della BI per la reportistica

Impegnata anche nel sociale, ci racconta il progetto L’Orto di Paolo?

Il progetto L’Orto di Paolo è iniziato 4 anni fa, un po’ per caso. È nato dalla volontà di questo centro diurno di portare i ragazzi affetti da autismo a lavorare in vigna, a ostrargli un lavoro diverso rispetto a quello che stavano facendo prima. Proprio in vigna è nato questo amore tra la Velenosi e L’Orto di Paolo. È nata così l’idea di creare un vino fatto da questi ragazzi: dalla vigna all’etichetta, tutto realizzato da loro. Il ricavato della vendita di questo vino viene devoluto in beneficenza al Centro per incrementare la loro struttura. Ogni anno vediamo crescere la loro casetta degli attrezzi, l’orto e così via e sappiamo che stiamo ridando al territorio quello che questo territorio ha offerto a noi: la solidarietà, la generosità, l’affetto. Non c’è altro modo di descrivere questo progetto se non come un gesto di amore nei confronti del nostro territorio. E oggi, i vini dell’Orto di Paolo sono i migliori vini che la cantina produce perché portano con sé questo senso profondo di legame con la nostra terra e di solidarietà.

Sostenibilità oggi è una parola chiave.

Sostenibilità è una parola molto ampia: va dal rispetto della natura, alla cura delle condizioni di lavoro, al ridare attenzione verso la nostra comunità. In cantina lo decliniamo in molti modi: dal biologico con una linea dedicata che incrementiamo di anno in anno, con l’eliminazione della plastica e l’utilizzo di materie prima che rispettano l’ambiente, all’impiego femminile molto alto nella nostra cantina fino ai progetti con il territorio; primo tra tutti L’Orto di Paolo, ma ce ne sono molti altri: la riabilitazione delle barrique che diventano delle vere e proprie opere d’arte grazie ai ragazzi del Liceo artistico di Ascoli, alla collaborazione con l’Istituto agrario di Ascoli.

Cosa consiglia alle giovani vignaiole che intraprendono questa strada?

Darei ad una giovane vignaiola lo stesso consiglio che per anni mi ha dato mia madre: “Per diventare una vera professionista bisogna studiare ed informarsi”.

Il suo vino del cuore e perché.

Il mio vino del cuore è il rosato. Ho sempre creduto nel bere “rosa” e rispecchia anche il mio carattere. Un vino versatile che si adatta bene a tutte le situazioni, che sa farsi amare e ammaliare ma non è per tutti. Non è per gli scettici che non lo ritengono un vero e proprio vino, è una sfida e a me sono sempre piaciute le sfide. Il rosato italiano ha ancora una grande parte di storia da scrivere nel mondo del vino, un po’ come
vedo me stessa, proprio nel mezzo del mio cammino in questo settore

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